Le collezioni didattiche naturalistiche del Regio Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, riordinate e rese visitabili al pubblico nei giorni festivi, furono il primo nucleo di formazione del Museo di Scienze Naturali di Bergamo. La sede del Regio Istituto Tecnico era allora in città bassa, nel Palazzo della Pretura Nuova al n°1 di via Tasso.
14 luglio, il Museo veniva solennemente inaugurato ed aperto nella vecchia sede del Palazzo Nuovo (5 sale, un salone ed una camera per il preparatore) il 14 luglio alla presenza di tutte le autorità civili e militari. La decisione di scindere il Museo dall'Istituto Tenico e di renderlo "...completamente civico, di riordinarlo e di costituirlo autonomo..." fu approvata nel 1917 nelle sedute del Consiglio Comunale del 19 maggio e del 17 luglio con una convenzione stipulata fra Comune, Provincia e Regio Istituto Tecnico.
Primo Direttore del Museo fu il sacerdote dott. Enrico Caffi, nominato il 13 gennaio. Nato a San Pellegrino nel 1866, Caffi, frequentò la scuola Missionaria a Milano ove venne consacrato sacerdote. Laureatosi in Scienze Naturali all'Università di Pavia, fu insegnante di scienze al Collegio S. Alessandro, al Seminario Vescovile e all'Istituto Tecnico. Rimase in servizio fino al 1947. Come direttore del Museo, Caffi si dedicò soprattutto al riordino ed alla catalogazione dei reperti di cui via via l'Istituto si arricchiva. I cataloghi da lui stilati costituiscono ancor oggi, non solo importanti documenti delle collezioni, ma anche preziose testimonianze storiche. Profondo conoscitore della geologia delle Orobie bergamasche dedicò i suoi studi anche alla flora ed alla fauna del nostro territorio. L'eclettismo del suo impegno trova testimonianza nella gran quantità di pubblicazioni e manoscritti da lui lasciati comprendenti: articoli di divulgazione scientifica, elenchi riassuntivi per gruppi sistematici delle specie presenti nella provincia, carte geologiche del nostro territorio, vocabolari dei termini dialettali di animali e piante ecc..
Durante il periodo in cui Caffi era direttore, il Museo subì due trasferimenti di cui il primo, nel 1922, si limitava ad uno spostamento di materiali e scaffali al piano superiore dello stesso edificio. Il secondo e più impegnativo cambio di sede avvenne tra il 1° agosto ed il 10 novembre 1927 quando il Museo si trasferì nei locali precedentemente occupati dal Tribunale, sul lato est di Piazza Vecchia e su via Bartolomeo Colleoni. Il Museo fu riaperto al pubblico, senza solennità, il 1° luglio 1928. Al primo piano si trovavano: la sala della Direzione e del Consiglio con biblioteca e laboratorio, la sala di entomologia, gli erbari ed un locale per il custode. Al secondo piano: la raccolta mineralogica, l'esposizione dei fossili, la parte dedicata all'etnografia ed altri due ambienti destinati al magazzino ed al laboratorio.
Un pubblico concorso, affidò la direzione del museo al prof. Antonio Valle, nato a Trieste nel 1925 e laureatosi in scienze naturali presso l'Università di Parma; resse l'incarico fino al 1979. Furono anni di grande sviluppo e di fondamentali cambiamenti per il Museo. Grazie all'elevata personalità scientifica di Antonio Valle - assistente ordinario all'Istituto di Zoologia dell'Università di Parma e successivamente direttore dell'Istituto di Zoologia della Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza - si passò da un'impostazione basata sulla custodia delle collezioni ed un'esposizione essenziale, ad un'apertura agli studi scientifici. Particolarmente approfonditi furono quelli dedicati agli scorpioni ed agli acari, che portarono ad un notevole incremento delle conoscenze sulla sistematica e sulla biologia dei due gruppi, testimoniato da una ricca produzione bibliografica e dalla presenza in Museo di collezioni di alto valore scientifico. Valle promosse anche ricerche sul territorio con particolare attenzione agli aspetti relativi alla qualità dell'ambiente quali lo studio del Lago d'Endine, dei fiumi Brembo e Serio e di alcuni fontanili della pianura bergamasca. All'inizio degli anni '60 fu stipulata una convenzione fra il Comune di Bergamo e l'Università degli Studi di Milano per l'apertura, in Piazza Cittadella, di sezioni degli Istituti di Scienze della Terra e, successivamente, di Zoologia.
L'incremento considerevole dei documenti naturalistici confluiti in Museo in seguito alle ricerche e le esigenze dettate dall'aumento delle attività di studio comportarono la necessità di disporre di nuovi spazi per la conservazione, lo studio e la divulgazione. Ebbero così inizio, nel mese di novembre, i lavori nel complesso visconteo di Piazza Cittadella individuato come futura sede del Museo di Scienze Naturali. La piazza subì importanti interventi di ristrutturazione secondo il progetto dell'arch. Sandro Angelini.
Il 29 giugno veniva inaugurata la nuova sede del museo nel complesso visconteo di piazza Cittadella, alla presenza delle autorità cittadine e del Presidente del Consiglio Tambroni.
La stessa linea di gestione del Museo intrapresa da Valle venne mantenuta da Mario Guerra, direttore del Museo dal 1979 al 1997. Nato a Crema nel 1930 e laureatosi in medicina veterinaria all'università di Milano Guerra, esperto ornitologo, dedicò la sua attenzione allo studio degli uccelli non solo del nostro territorio ma anche a quelli dell'Africa orientale. Il suo interesse si è rivolto anche allo studio ed insegnamento delle tecniche della tassidermia che si esplicò nell'organizzazione di due corsi mirati alla formazione di giovani tassidermisti. Abile disegnatore ha prodotto un gran numero di disegni a soggetto naturalistico caratterizzati dal suo inconfondibile stile e da una accuratezza nei dettagli che esprime una profonda conoscenza dei soggetti rappresentati. Nel 1980 curò l'edizione del primo volume della "Rivista del Museo civico di Scienze Naturali E. Caffi" che da allora pubblica articoli inerenti le scienze naturali con particolare attenzione all'attività svolta dal Museo. Nel 1982 diresse la ricostruzione del mammuth che giganteggia nell'ingresso.
L’esposizione si arricchì di due spazi espositivi dedicati rispettivamente al Carsismo e alla Mineralogia e Petrografia e di una sala interamente dedicata ai dinosauri in cui campeggia il calco dello scheletro di un esemplare Allosaurus fragilis ritrovato nello Utah (USA). Anche l’attività di ricerca visse momenti particolarmente fervidi con il ritrovamento di abbondanti resti di Ursus spelaeus ad Oltre il Colle e con la realizzazione di ricerche faunistiche mirate ad approfondire la conoscenza soprattutto di Aracnidi ed Insetti a livello locale e nazionale. Tra il 1988 e il 1992 venne realizzato un censimento di oltre 750 fontanili della pianura lombarda ed uno studio ecologico e faunistico su gran parte di essi. Nel 1995 nacque l’Associazione Amici del Museo di Scienze Naturali ancor oggi attiva nel promuovere e favorire le attività di ricerca e di divulgazione del Museo.
Mario Guerra lasciò la direzione del servizio Musei e un concorso pubblico affidò la stessa mansione a Marco Valle, laureato in Scienze Naturali presso l’Università degli studi di Milano e tuttora responsabile del Museo. Poliedrica figura di naturalista, Valle è responsabile dell’ulteriore apertura del Museo verso una collaborazione sempre più intensa con studiosi italiani ed esteri e dell’incremento dell’attività di divulgazione anche con la sperimentazione di nuove forme di comunicazione.
Grazie ad un’importante donazione da parte del dott. Enrico Benaglio, nipote di Antonio Curò, il Museo si arricchì di una sala conferenze dedicata all’illustre naturalista. Nello stesso anno venne inaugurata la mostra “Leggi di Natura, l’Arca del 2000” che segnò una nuova attenzione verso il rispetto e la conservazione del patrimonio naturalistico e la tutela della biodiversità, confermando il ruolo attivo del Museo nella conoscenza e salvaguardia del territorio.
“Bergamo…220 milioni di anni fa “è l’emblematico nome della mostra dedicata ai fossili del triassico superiore rinvenuti durante le campagne di ricerca organizzate dal Museo a partire dagli anni ’70 in alcune località della provincia di Bergamo. Fra essi spicca Eudimorphodon ranzii rinvenuto nel 1973 presso Cene e descritto come specie nuova per la scienza da Rocco Zambelli, allora conservatore del Museo. Molti altri fossili preparati nei laboratori dell’Istituto con un altissimo livello di specializzazione sono esposti in questa sala dove uno spettacolare diorama ricostruisce l’ambiente che caratterizzava il territorio della nostra provincia 220 milioni di anni fa.
Inizio di un processo di rinnovamento della comunicazione con il pubblico destinato ad accrescersi negli anni. Si ampliarono le parti didascaliche e si sperimentarono nuove forme coinvolgenti di invito alla conoscenza quale l’approccio tattile di riconoscimento dei reperti, quello uditivo, il posizionamento di microscopi stereoscopici e la realizzazione di un percorso dedicato agli ipovedenti e ai non vedenti. Vennero anche realizzati due nuovi laboratori didattici dedicati alla zoologia e alla geopaleontologia dotati di attrezzature scientifiche che consentono lo svolgimento di attività rivolte a studenti e a gruppi di giovani interessati ad un approccio sperimentale del sapere naturalistico, un’ampia area all’aperto permette inoltre la sperimentazione degli scavi paleontologici.
Apertura al pubblico della sala di etnografia ove è possibile ammirare reperti attribuibili a culture tradizionali dei continenti americano ed africano con alto valore artistico e rituale fra cui gli oggetti appartenuti a Costantino Beltrami custoditi in Museo dai primi anni della sua storia e quelli appartenenti ad una collezione di reperti africani donata nel 1989 dal comm. Aldo Perolari.
Lo scheletro fossile completo di un esemplare maschio adulto di Cervus acoronatus, vissuto circa 700.000 anni fa, venne esposto con un allestimento innovativo che ne valorizza l’unicità. Scoperto nel 2001 in valle Borlezza è stato riportato alla luce grazie ad una campagna di scavo curata dai ricercatori del Museo. Alcune fasi di preparazione del reperto si sono svolte per alcuni anni nelle sale espositive al fine di rendere i visitatori partecipi delle varie fasi di questo importante lavoro.
Realizzazione della sala dei mammiferi marini in cui campeggia un imponente scheletro di una giovane femmina di capodoglio spiaggiatasi a Piombino nel 2008. L’allestimento curato dal personale del Museo, che ha provveduto anche alla preparazione di ogni parte del reperto, simula l’immersione dell’esemplare in acqua. L’osservazione delle parti scheletriche permette di notare le modificazioni subite dai Cetacei in seguito all’adattamento alla vita acquatica.
Nella sala dedicata agli invertebrati venne allestita una vetrina-formicaio popolata da una colonia di Messor barbarus. Un nuovo approccio di conoscenza che attraverso l’osservazione di esemplari vivi potenzia l’efficacia del messaggio espositivo già sperimentato negli anni precedenti con l’allevamento del baco da seta.
È l’anno del centenario del Museo. Cent’anni di studi, ricerche, crescita culturale e soprattutto di presenza attiva in città dove l’Istituto è un valido punto di riferimento per la conoscenza della Natura del territorio provinciale e non solo. In occasione di questo importante traguardo sono state realizzate diverse iniziative e tra queste la mostra “Noi abbiamo 100 anni, loro molti di più. DINOSAURI AL MUSEO” che ha coinvolto l’intero settore espositivo. Inaugurata ed aperta al pubblico il 10 marzo, la mostra ha coniugato un argomento di grande impatto con il patrimonio paleontologico e zoologico presente in Museo consentendo di valorizzare aspetti naturalistici di grande rilevanza legati al territorio provinciale e favorendo approfondimenti legati a temi più generali e di stretta attualità quali l’evoluzione e le estinzioni. Pensata per coinvolgere un pubblico il più possibile ampio e diversificato per età, formazione cultuale e interessi personali, la mostra ha riscosso un notevole gradimento, anche grazie alle spettacolari ricostruzioni in vetroresina a grandezza naturale, tanto da indurre la decisione di posticiparne la chiusura, prevista per il settembre 2018, al gennaio 2019.
Si aprì nelle sale del Museo un nuovo percorso espositivo, dedicato all’insegnamento delle scienze nell’Ottocento, con l’esposizione di strumenti didattici di grande valore storico, utilizzati nelle scuole bergamasche, alcuni già a partire dalla fine del Settecento. Gli strumenti di fisica esposti facevano parte della dotazione del Gabinetto di Fisica dell’antico Collegio Mariano mentre i campioni inerenti alle scienze naturali provengono dal Gabinetto di Scienze del Regio Istituto Tecnico, da cui nacque il Museo.
Le collezioni didattiche naturalistiche del Regio Istituto Tecnico Vittorio Emanuele II, riordinate e rese visitabili al pubblico nei giorni festivi, furono il primo nucleo di formazione del Museo di Scienze Naturali di Bergamo. La sede del Regio Istituto Tecnico era allora in città bassa, nel Palazzo della Pretura Nuova al n°1 di via Tasso.
14 luglio, il Museo veniva solennemente inaugurato ed aperto nella vecchia sede del Palazzo Nuovo (5 sale, un salone ed una camera per il preparatore) il 14 luglio alla presenza di tutte le autorità civili e militari. La decisione di scindere il Museo dall'Istituto Tenico e di renderlo "...completamente civico, di riordinarlo e di costituirlo autonomo..." fu approvata nel 1917 nelle sedute del Consiglio Comunale del 19 maggio e del 17 luglio con una convenzione stipulata fra Comune, Provincia e Regio Istituto Tecnico.
Primo Direttore del Museo fu il sacerdote dott. Enrico Caffi, nominato il 13 gennaio. Nato a San Pellegrino nel 1866, Caffi, frequentò la scuola Missionaria a Milano ove venne consacrato sacerdote. Laureatosi in Scienze Naturali all'Università di Pavia, fu insegnante di scienze al Collegio S. Alessandro, al Seminario Vescovile e all'Istituto Tecnico. Rimase in servizio fino al 1947. Come direttore del Museo, Caffi si dedicò soprattutto al riordino ed alla catalogazione dei reperti di cui via via l'Istituto si arricchiva. I cataloghi da lui stilati costituiscono ancor oggi, non solo importanti documenti delle collezioni, ma anche preziose testimonianze storiche. Profondo conoscitore della geologia delle Orobie bergamasche dedicò i suoi studi anche alla flora ed alla fauna del nostro territorio. L'eclettismo del suo impegno trova testimonianza nella gran quantità di pubblicazioni e manoscritti da lui lasciati comprendenti: articoli di divulgazione scientifica, elenchi riassuntivi per gruppi sistematici delle specie presenti nella provincia, carte geologiche del nostro territorio, vocabolari dei termini dialettali di animali e piante ecc..
Durante il periodo in cui Caffi era direttore, il Museo subì due trasferimenti di cui il primo, nel 1922, si limitava ad uno spostamento di materiali e scaffali al piano superiore dello stesso edificio. Il secondo e più impegnativo cambio di sede avvenne tra il 1° agosto ed il 10 novembre 1927 quando il Museo si trasferì nei locali precedentemente occupati dal Tribunale, sul lato est di Piazza Vecchia e su via Bartolomeo Colleoni. Il Museo fu riaperto al pubblico, senza solennità, il 1° luglio 1928. Al primo piano si trovavano: la sala della Direzione e del Consiglio con biblioteca e laboratorio, la sala di entomologia, gli erbari ed un locale per il custode. Al secondo piano: la raccolta mineralogica, l'esposizione dei fossili, la parte dedicata all'etnografia ed altri due ambienti destinati al magazzino ed al laboratorio.
Un pubblico concorso, affidò la direzione del museo al prof. Antonio Valle, nato a Trieste nel 1925 e laureatosi in scienze naturali presso l'Università di Parma; resse l'incarico fino al 1979. Furono anni di grande sviluppo e di fondamentali cambiamenti per il Museo. Grazie all'elevata personalità scientifica di Antonio Valle - assistente ordinario all'Istituto di Zoologia dell'Università di Parma e successivamente direttore dell'Istituto di Zoologia della Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza - si passò da un'impostazione basata sulla custodia delle collezioni ed un'esposizione essenziale, ad un'apertura agli studi scientifici. Particolarmente approfonditi furono quelli dedicati agli scorpioni ed agli acari, che portarono ad un notevole incremento delle conoscenze sulla sistematica e sulla biologia dei due gruppi, testimoniato da una ricca produzione bibliografica e dalla presenza in Museo di collezioni di alto valore scientifico. Valle promosse anche ricerche sul territorio con particolare attenzione agli aspetti relativi alla qualità dell'ambiente quali lo studio del Lago d'Endine, dei fiumi Brembo e Serio e di alcuni fontanili della pianura bergamasca. All'inizio degli anni '60 fu stipulata una convenzione fra il Comune di Bergamo e l'Università degli Studi di Milano per l'apertura, in Piazza Cittadella, di sezioni degli Istituti di Scienze della Terra e, successivamente, di Zoologia.
L'incremento considerevole dei documenti naturalistici confluiti in Museo in seguito alle ricerche e le esigenze dettate dall'aumento delle attività di studio comportarono la necessità di disporre di nuovi spazi per la conservazione, lo studio e la divulgazione. Ebbero così inizio, nel mese di novembre, i lavori nel complesso visconteo di Piazza Cittadella individuato come futura sede del Museo di Scienze Naturali. La piazza subì importanti interventi di ristrutturazione secondo il progetto dell'arch. Sandro Angelini.
Il 29 giugno veniva inaugurata la nuova sede del museo nel complesso visconteo di piazza Cittadella, alla presenza delle autorità cittadine e del Presidente del Consiglio Tambroni.
La stessa linea di gestione del Museo intrapresa da Valle venne mantenuta da Mario Guerra, direttore del Museo dal 1979 al 1997. Nato a Crema nel 1930 e laureatosi in medicina veterinaria all'università di Milano Guerra, esperto ornitologo, dedicò la sua attenzione allo studio degli uccelli non solo del nostro territorio ma anche a quelli dell'Africa orientale. Il suo interesse si è rivolto anche allo studio ed insegnamento delle tecniche della tassidermia che si esplicò nell'organizzazione di due corsi mirati alla formazione di giovani tassidermisti. Abile disegnatore ha prodotto un gran numero di disegni a soggetto naturalistico caratterizzati dal suo inconfondibile stile e da una accuratezza nei dettagli che esprime una profonda conoscenza dei soggetti rappresentati. Nel 1980 curò l'edizione del primo volume della "Rivista del Museo civico di Scienze Naturali E. Caffi" che da allora pubblica articoli inerenti le scienze naturali con particolare attenzione all'attività svolta dal Museo. Nel 1982 diresse la ricostruzione del mammuth che giganteggia nell'ingresso.
L’esposizione si arricchì di due spazi espositivi dedicati rispettivamente al Carsismo e alla Mineralogia e Petrografia e di una sala interamente dedicata ai dinosauri in cui campeggia il calco dello scheletro di un esemplare Allosaurus fragilis ritrovato nello Utah (USA). Anche l’attività di ricerca visse momenti particolarmente fervidi con il ritrovamento di abbondanti resti di Ursus spelaeus ad Oltre il Colle e con la realizzazione di ricerche faunistiche mirate ad approfondire la conoscenza soprattutto di Aracnidi ed Insetti a livello locale e nazionale. Tra il 1988 e il 1992 venne realizzato un censimento di oltre 750 fontanili della pianura lombarda ed uno studio ecologico e faunistico su gran parte di essi. Nel 1995 nacque l’Associazione Amici del Museo di Scienze Naturali ancor oggi attiva nel promuovere e favorire le attività di ricerca e di divulgazione del Museo.
Mario Guerra lasciò la direzione del servizio Musei e un concorso pubblico affidò la stessa mansione a Marco Valle, laureato in Scienze Naturali presso l’Università degli studi di Milano e tuttora responsabile del Museo. Poliedrica figura di naturalista, Valle è responsabile dell’ulteriore apertura del Museo verso una collaborazione sempre più intensa con studiosi italiani ed esteri e dell’incremento dell’attività di divulgazione anche con la sperimentazione di nuove forme di comunicazione.
Grazie ad un’importante donazione da parte del dott. Enrico Benaglio, nipote di Antonio Curò, il Museo si arricchì di una sala conferenze dedicata all’illustre naturalista. Nello stesso anno venne inaugurata la mostra “Leggi di Natura, l’Arca del 2000” che segnò una nuova attenzione verso il rispetto e la conservazione del patrimonio naturalistico e la tutela della biodiversità, confermando il ruolo attivo del Museo nella conoscenza e salvaguardia del territorio.
“Bergamo…220 milioni di anni fa “è l’emblematico nome della mostra dedicata ai fossili del triassico superiore rinvenuti durante le campagne di ricerca organizzate dal Museo a partire dagli anni ’70 in alcune località della provincia di Bergamo. Fra essi spicca Eudimorphodon ranzii rinvenuto nel 1973 presso Cene e descritto come specie nuova per la scienza da Rocco Zambelli, allora conservatore del Museo. Molti altri fossili preparati nei laboratori dell’Istituto con un altissimo livello di specializzazione sono esposti in questa sala dove uno spettacolare diorama ricostruisce l’ambiente che caratterizzava il territorio della nostra provincia 220 milioni di anni fa.
Inizio di un processo di rinnovamento della comunicazione con il pubblico destinato ad accrescersi negli anni. Si ampliarono le parti didascaliche e si sperimentarono nuove forme coinvolgenti di invito alla conoscenza quale l’approccio tattile di riconoscimento dei reperti, quello uditivo, il posizionamento di microscopi stereoscopici e la realizzazione di un percorso dedicato agli ipovedenti e ai non vedenti. Vennero anche realizzati due nuovi laboratori didattici dedicati alla zoologia e alla geopaleontologia dotati di attrezzature scientifiche che consentono lo svolgimento di attività rivolte a studenti e a gruppi di giovani interessati ad un approccio sperimentale del sapere naturalistico, un’ampia area all’aperto permette inoltre la sperimentazione degli scavi paleontologici.
Apertura al pubblico della sala di etnografia ove è possibile ammirare reperti attribuibili a culture tradizionali dei continenti americano ed africano con alto valore artistico e rituale fra cui gli oggetti appartenuti a Costantino Beltrami custoditi in Museo dai primi anni della sua storia e quelli appartenenti ad una collezione di reperti africani donata nel 1989 dal comm. Aldo Perolari.
Lo scheletro fossile completo di un esemplare maschio adulto di Cervus acoronatus, vissuto circa 700.000 anni fa, venne esposto con un allestimento innovativo che ne valorizza l’unicità. Scoperto nel 2001 in valle Borlezza è stato riportato alla luce grazie ad una campagna di scavo curata dai ricercatori del Museo. Alcune fasi di preparazione del reperto si sono svolte per alcuni anni nelle sale espositive al fine di rendere i visitatori partecipi delle varie fasi di questo importante lavoro.
Realizzazione della sala dei mammiferi marini in cui campeggia un imponente scheletro di una giovane femmina di capodoglio spiaggiatasi a Piombino nel 2008. L’allestimento curato dal personale del Museo, che ha provveduto anche alla preparazione di ogni parte del reperto, simula l’immersione dell’esemplare in acqua. L’osservazione delle parti scheletriche permette di notare le modificazioni subite dai Cetacei in seguito all’adattamento alla vita acquatica.
Nella sala dedicata agli invertebrati venne allestita una vetrina-formicaio popolata da una colonia di Messor barbarus. Un nuovo approccio di conoscenza che attraverso l’osservazione di esemplari vivi potenzia l’efficacia del messaggio espositivo già sperimentato negli anni precedenti con l’allevamento del baco da seta.
È l’anno del centenario del Museo. Cent’anni di studi, ricerche, crescita culturale e soprattutto di presenza attiva in città dove l’Istituto è un valido punto di riferimento per la conoscenza della Natura del territorio provinciale e non solo. In occasione di questo importante traguardo sono state realizzate diverse iniziative e tra queste la mostra “Noi abbiamo 100 anni, loro molti di più. DINOSAURI AL MUSEO” che ha coinvolto l’intero settore espositivo. Inaugurata ed aperta al pubblico il 10 marzo, la mostra ha coniugato un argomento di grande impatto con il patrimonio paleontologico e zoologico presente in Museo consentendo di valorizzare aspetti naturalistici di grande rilevanza legati al territorio provinciale e favorendo approfondimenti legati a temi più generali e di stretta attualità quali l’evoluzione e le estinzioni. Pensata per coinvolgere un pubblico il più possibile ampio e diversificato per età, formazione cultuale e interessi personali, la mostra ha riscosso un notevole gradimento, anche grazie alle spettacolari ricostruzioni in vetroresina a grandezza naturale, tanto da indurre la decisione di posticiparne la chiusura, prevista per il settembre 2018, al gennaio 2019.
Si aprì nelle sale del Museo un nuovo percorso espositivo, dedicato all’insegnamento delle scienze nell’Ottocento, con l’esposizione di strumenti didattici di grande valore storico, utilizzati nelle scuole bergamasche, alcuni già a partire dalla fine del Settecento. Gli strumenti di fisica esposti facevano parte della dotazione del Gabinetto di Fisica dell’antico Collegio Mariano mentre i campioni inerenti alle scienze naturali provengono dal Gabinetto di Scienze del Regio Istituto Tecnico, da cui nacque il Museo.
Museo Civico di Scienze Naturali E. Caffi – Bergamo © 2022 Tutti i diritti riservati
Privacy Policy / Cookie Policy / Note Legali